I salari non dignitosi dei giovani rischiano di scatenare una rabbia sociale
Ripulire il mercato del lavoro dalle forme atipiche di contratto che lo hanno avvelenato e finanziare l’entrata dei giovani nel mondo lavorativo. All’evento nazionale sul Goal 8, le riflessioni su fuga dei cervelli, tirocini e neet.
Garantire un lavoro dignitoso alle future generazioni è l’unica strada per costruire una crescita realmente sostenibile e inclusiva. Questo l’avviso che scaturisce dall’evento nazionale “Per una transizione giusta e una crescita sostenibile. La buona occupazione giovanile: una sfida italiana”, organizzato dal Gruppo di lavoro ASviS sul Goal 8 (“Lavoro dignitoso e crescita economica”) con la tutorship di Ima S.p.a. L’iniziativa si è svolta lunedì 17 ottobre al Palazzo delle Esposizioni a Roma nell’ambito del Festival dello Sviluppo Sostenibile.
L’incontro è stato aperto da un intervento di Luciano Monti, coordinatore del Gruppo di lavoro (Gdl) ASviS sul Goal 8, che ha spiegato come il Gdl abbia affrontato negli ultimi cinque anni la questione giovanile secondo tre direttrici: “la lotta al divario generazionale e l’affermazione dei diritti delle future generazioni; il contrasto al fenomeno dei neet [giovani che non studiano e non lavorano, ndr]; la stipula di un patto per l’occupazione giovanile. Quest’anno abbiamo deciso di allargare il campo ad altre due direttrici: il lavoro dignitoso e l’equa distribuzione”.
Monti ha proseguito indicando i fenomeni che sono il sintomo del disagio dei giovani nel mondo del lavoro: “Dobbiamo contrastare il brain drain [fuga di cervelli] e la perdita di capitale umano così necessario alla nostra economia. Il numero di ricercatori in Italia è all’incirca 200mila, mentre la media europea è di oltre 300mila: i giovani se ne vanno anche perché non c’è questo tipo di posto di lavoro in Italia. L’altra grande battaglia è il contrastato al precariato e a questa idea che la gavetta dei nostri giovani sia sostanzialmente infinita. nfine, Monti ha affrontato anche il tema delle competenze. “Il problema è acquisire le competenze in linea con i mestieri del futuro. Se vogliamo evitare il brain drain dobbiamo fare in modo che i nostri giovani acquisiscano le competenze necessarie per i mestieri del domani”. Monti ha concluso lanciando un monito: “Abbattiamo i muri, togliamo gli ostacoli e lasciamo fare i giovani, che dovranno gestire il futuro”.
In foto: Luciano Monti
L’evento è proseguito con la presentazione del panel, introdotto e moderato da Nathania Zevi, giornalista del Tg3 Rai, la quale ha affermato: “Il tema dell’occupazione giovanile dignitosa chiama in causa il concetto di divario generazionale che in Italia rimane molto ampio. È un tema su cui le istituzioni, che vivono un momento di crisi come possiamo vedere dalla disaffezione al voto, devono sensibilizzarsi per riavvicinare i ragazzi”. Zevi ha continuato l’introduzione al panel ponendo una questione: “Di fronte a questi salari non dignitosi e all’impossibilità di programmare la propria vita esiste anche un pericolo reale, cioè che a un certo punto i ragazzi si mobilitino, che si scateni una rabbia sociale. Giovani che si sentono anni luce dai partiti e che non si sentono rappresentati. Bisognerà trovare una soluzione a questo”.
Il ragionamento di Zevi si è soffermato anche sul tema dei neet, evidenziando come rinuncino ancor prima di iniziare, portando a una perdita di competenze che a cascata fa rimanere l’individuo al di fuori dal mondo del lavoro. “Finché la politica insieme alle altre istituzioni non troverà il modo di finanziare l’entrata dei giovani nel mondo del lavoro la situazione probabilmente rimarrà questa”, ha concluso.
In foto: Nathania Zevi
Il panel è iniziato con l’intervento di Vittorio Calaprice, addetto agli affari politici e alle relazioni istituzionali della Rappresentanza in Italia della Commissione europea, il quale dopo aver evidenziato le azioni promosse dalle istituzioni europee per sostenere le giovani generazioni ha affermato: “I giovani rappresentano non uno slogan su cui dedicare politiche, ma un aspetto rilevante della costruzione delle varie politiche. Strategie, programmi e finanziamenti è quello che la Commissione ha potuto mettere in campo per loro”, ha proseguito Calaprice.
In seguito, il relatore si è soffermato sulle prospettive che si apriranno per i giovani nel mercato del lavoro nei prossimi anni grazie ai processi di transizione ecologica e digitale. “Nel 2019 è partito un treno, che è quello della nuova Commissione europea, e corre su due binari: la trasformazione sostenibile e la trasformazione digitale. Questi due temi dovranno costruire le nuove politiche e le politiche a favore dei giovani devono coordinarsi con il mercato, straordinariamente in fase di evoluzione. Siamo di fronte a un cambiamento complessivo dell’economia mondiale ed europeo, dove le figure professionali sono in costante novità, ci sono lavori che non riusciamo a immaginare ma saranno i lavori più diffusi tra pochi anni”.
In foto: Vittorio Calaprice
Il secondo ospite a prendere la parola è stato Alberto Vacchi, presidente e amministratore delegato di Ima spa, che ha affermato: “i livelli di disoccupazione giovanile in alcune regioni italiane sono elevatissimi ed è un dato di fatto che i giovani vanno all’estero, ma soprattutto i migliori tra quelli che partono difficilmente tornano. Spesso servono figure tecniche che le aziende non trovano, ma fanno fatica a trovare personale per ruoli più tradizionali. Siamo di fronte a una contraddizione vera a cui le imprese devono dare risposte unitamente al mondo del lavoro in genere.”. Vacchi ha proseguito sottolineando la necessità di un migliore approccio tra imprese e giovani: “serve un nuovo patto per i giovani, con misure concrete che possono vederci al tavolo con scuole e sindacati. L’elemento cardine è questo: trovare un meccanismo di connessione tra attività d’impresa (o tipologia di prodotto che l’impresa deve produrre), il mondo della scuola (con percorsi formativi indirizzati) e i sindacati, per costruire un percorso coerente”.
In foto: Alberto Vacchi
È in seguito intervenuto l’ex-ministro del Lavoro e delle politiche sociali Andrea Orlando, che ha sottolineato come vada “fortemente rimesso in discussione” il ragionamento secondo cui è “importante trovare una confidenza con il lavoro qualunque siano le condizioni, perché prima o poi diventerà la porta d’accesso al lavoro stabile”. Per l’ex-ministro, “se il primo impatto del lavoro è quello con lo sfruttamento, non solo non c’è crescita di capitale umano, ma non c’è neanche quella molla che guida verso un investimento su sé stessi, verso il superamento di blocchi di carattere psicologico, soprattutto in anni come questi dopo due anni di lock-down”. Orlando ha anche toccato il tema delle dimissioni volontarie: “È un fenomeno che riguarda molti giovani. Molti si sono detti che non qualunque condizione di lavoro sia accettabile, e non ci vedo niente di scandaloso, anzi è una domanda che ci saremmo dovuti fare prima. Fannulloni ne vedo pochi, vedo piuttosto persone respinte da un mercato del lavoro che offre spesso delle condizioni inaccettabili, e che non vanno accettate”.
In foto: Andrea Orlando
Ivana Veronesi, segretaria confederale Unione italiana dei lavoratori (Uil), è intervenuta toccando il tema dei tirocini. “Spesso i nostri giovani si formano moltissimo e quando poi escono dalle università gli viene offerto un tirocinio a 300 euro. Ma questo non è salario, non è retribuzione, è solo una indennità di tirocinio. Il tirocinio non è lavoro, è una introduzione al mondo del lavoro. Se si fa a scuola serve a capire se il lavoro piace o non piace, ma se si svolge dopo la formazione i tirocini rischiano di essere solo sfruttamento lavorativo. Dobbiamo dire come in Spagna che l’entrata nel mondo del lavoro deve essere fatta tramite il contratto indeterminato con l’apprendistato. Ma in Italia non viene utilizzato perché ci sono altre forme contrattuali che costano di meno alle aziende. Dobbiamo ripulire il mercato dalle forme atipiche di contratto che hanno avvelenato il mondo del lavoro”.
In foto: Ivana Veronese, segretaria confederale Uil
Il panel è proseguito con l’intervento di Alberto Brambilla, presidente Centro studi e ricerche itinerari previdenziali, che ha esordito dicendo: “Durante l’evento avete descritto un Paese criminale, dove i giovani vengono sfruttati nella maniera più brutta possibile e dove in tutti i settori sono sottopagati e in cui devono lavorare 14 ore, ma attenzione, non siamo così cattivi nei confronti dei giovani. Basta girare per Milano e non c’è una bottega o un negozio che non abbia fuori una richiesta di assunzione e le persone non si trovano”. Brambilla ha proseguito parlando della sua esperienza: “Quando sento parlare qualche pseudo-sociologo di generazione perduta mi viene in mente che forse 78 anni di pace e benessere, di pancia piena e casina calda e anche un po’ di soldi dalla mano pubblica, forse ci hanno fatto dimenticare dei baby boomers. Per noi la pancia era spesso vuota, la bistecchina era difficile da trovare, il bagno non c’era. Ma la scuola serale era piena, facevamo due lavori per fare famiglia. Ora quando chiedo a un giovane di lavorare il sabato e la domenica mi dice che non può”. Parlando di contrattualizzazione, Brambilla ha dichiarato: “Spesso i giovani arrivano nel mondo del lavoro senza esperienza, quindi un contratto a tempo determinato serve al giovane a capire se il lavoro è giusto per lui”.
In foto: Alberto Brambilla
A seguire è intervenuto Gianni Rosas, direttore dell'ufficio dell’Organizzazione italiana del lavoro (Oil) per l'Italia e San Marino, che ha voluto dare una definizione di lavoro dignitoso: “Un lavoro che dà dignità è un lavoro che dà diritti, che è produttivo, che viene remunerato con un salario adeguato e che garantisce un sistema di protezione sociale che non faccia cadere il lavoratore in povertà nel caso in cui perdi il reddito”. Rosas ha poi fatto una analisi delle trasformazioni avvenute nel mondo del lavoro dopo la pandemia: “Dopo la crisi del Covid-19 il tasso di disoccupazione giovanile in Italia è diminuito, ma rimane sempre tre volte superiore rispetto a quello degli adulti. Se andiamo a vedere la qualità di questi nuovi posti di lavoro possiamo scoprire che tra i giovani che lavorano, la metà hanno un contratto a tempo determinato, e a seguito della crisi si è ridotta via via la durata del contratto di lavoro. Oggi, il 13% dei giovani con contratto a tempo determinato ha un contratto che dura meno di un giorno, il 34% ha un contratto che ha una durata inferiore a un mese. Questo riflette la qualità del lavoro che viene prodotto oggi”.
In foto: Gianni Rosas
Come ultimo relatore è infine intervenuto Giulio Saputo, coordinatore dell'Assemblea generale del Consiglio nazionale dei giovani, che ha dichiarato: “Per il lavoro che faccio ho una idea concreta dei giovani e di questa generazione. Questa è una generazione che spesso è stata rappresentata come la realizzazione del sogno europeo, un progresso inesorabile. Ma ci siamo svegliati e molto male. Tutti gli indici di sviluppo umano sono arretrati negli ultimi anni, per esempio. Questa non è la generazione dell’Erasmus, ma quella della crisi. La nostra è una generazione che ha vissuto talmente tante crisi, che ha oramai la nostalgia del futuro, perché non ha mai avuto la sensazione di avere una prospettiva. La nostra generazione si è trovata a pagare delle scelte fatte in modo irrazionale. Parliamo di nostalgia di futuro perché prima sembrava che esistesse una linea, un cammino, ma ormai non c’è neanche la speranza di un domani migliore”.
In foto: Giulio Saputo
L’evento si è infine concluso con le parole di Gianni Di Cesare, coordinatore del Gdl ASviS sul Goal 8, che ha sottolineato: “Quando abbiamo cominciato a lavorare sulla condizione giovanile all’interno del Gdl lo abbiamo fatto perché questo è un caso dell’Italia rispetto al resto del mondo. Quando insistiamo su questo tema è perché nel nostro Paese esiste una stratificazione storica, che si tramanda paradossalmente attraverso le generazioni. Vorremmo proporre un patto per l’occupazione giovanile proprio perché esiste questa stratificazione che deve essere affrontata dalla politica, perché ormai la situazione è diventata molto corposa e complessa. Esiste non solo un sentimento individuale per ogni giovane, ma esiste un sentimento collettivo. Se sono scesi in piazza migliaia di giovani per protestare insieme a Fridays for future sulle questioni climatiche vuol dire che questa generazione sente la condizione ambientale come una problematica di massa e aggiunge un’altra stratificazione”.
In foto, da sinistra: Nathania Zevi, Gianni Di Cesare
di Milos Skakal